Questa non è una recensione di ‘Star Wars: Gli ultimi Jedi’

«Papà, io in questa scena ho un po’ paura»

Il buio in sala, la pellicola avanza sullo schermo. Una vocina timorosa interrompe la magia, per un attimo è come svegliarsi e prendere nuovamente coscienza del proprio corpo sulla poltroncina. Conoscete tutti la sensazione.

Quanto tempo sarà passato dall’inizio della proiezione? Quarantacinque minuti o forse più, non so dirlo con esattezza. Un padre e tre bambini sono seduti accanto a me. Li avevo notati mentre li scavalcavo cercando il mio posto: due maschietti e una bambina. Il padre la solleva per mettersela in braccio, come a rassicurarla. È tutto ok, è solo un film.

Forse. O forse no. Per Star Wars le definizioni non si applicano, ci siamo abituati a definire tutto il resto grazie alle Guerre Stellari. È tutto lì, nella nostra propensione ad entrare nella storia, al nostro esserne parte vibrante. Star Wars è potenza, stupore e meraviglia, e può metterci a contatto con molte sfumature della nostra anima. Ci vedi quello che vuoi, quello che riesci: l’esperienza varia da persona a persona.

«Papà, io in questa scena ho un po’ paura»

Ripescando nei miei ricordi ho anche io un momento così: l’Imperatore sta torturando Luke con i Fulmini e non potrò mai dimenticare quelle smorfie cariche di violenza. Le luci e l’atmosfera fecero il resto.

In quell’occasione mi alzai di scatto per correre in cucina, lontano dal televisore. Maledizione. “Un vero guerriero non scappa!”, ripetei più volte a me stesso. Mi costrinsi a rivedere la scena e una volta affrontata la prova credetti di essere diventato immensamente più coraggioso.

Cresci e passa il testimone, senza dimenticare mai dell’importanza del fallimento. Favole e un po’ di sana epica: serve forse qualcos’altro? E allora capisci che Star Wars non parla di una galassia lontana lontana: parla di noi.

Gli ultimi Jedi. 

Informazioni su Shiri Clod

Romantico cacciatore di chimere perso nella fantasia. Nato con ogni probabilità nell'epoca sbagliata. Un «clown irlandese», proprio come voleva Joyce
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