Qualche tempo fa mi é tornato in mente un vecchio fatto di cronaca risalente al lontano 1998. Ho diversi ricordi positivi a proposito di quell’anno, soprattutto ricordo il sole. I miei undici anni. La prima granita al chiosco di San Zeno, servita su quel bicchiere da mezza pinta che ti fa sentire inevitabilmente grande, poco importa se dentro c’era ghiaccio e sciroppo al limone al posto della birra. Gli esami della quinta elementare, perché ai miei tempi ancora si facevano, non fatemici pensare. Poi i mondiali in Francia, l’eterno dilemma Baggio-Del Piero.
E poi c’é quel fatto di cronaca.
Undici anni. A quell’età si é del tutto impotenti. Le notizie ti arrivano frammentate ma non te ne curi molto, sono “robe da adulti” e “vedrai che un giorno crescerò”, non hai ben chiaro il concetto di destra e sinistra e te la cavi leggermente meglio con le parole “giusto” e “sbagliato” (non é che crescendo le cose migliorino, parola mia). Però una cosa la capisci anche te, ovvero quando una nazione si ferma e milioni di persone guardano in un punto solo. Ne parla anche il giornale radio che la mamma sente ogni mattina quando ti accompagna a scuola: «Poverini, voi si che siete bambini fortunati».
Ci sono questi due bambini che sono nati a pochi giorni di distanza con terribili malformazioni, Gabriele e Maurizio. Uno venuto al mondo senza il cervello, l’altro con una malformazione al cuore. I genitori del primo prendono una decisione incredibile: donano il cuore del loro piccino affinché per l’altro nascituro possa esserci una qualche speranza. La nazione guarda con il fiato sospeso quell’elicottero incaricato di portare quel contenitore da un’ospedale all’altro, da Torino a Roma. Un caso mediatico e umano di profondità struggente, due famiglie legate per pochi giorni da una flebile speranza. Inizialmente sembro che tutti vada per il meglio, poi iniziano le complicazioni. Quella mattina, mentre andavo a scuola, la radio scandiva la tragica notizia: “Sistema immunitario al limite” e “cuore rigettato”, niente da fare anche per Maurizio.
I riflettori si allontanano da quelle due famiglie, concedendo loro la dignità del dolore.
Una volta chiesi a lezione di catechismo chiesi come mai quei due bambini erano nati così malati e quale fosse il motivo. La risposta che ebbi, li per lì, mi bastò: «Si vede che quei bambini erano così buoni e innocenti che Dio ha pensato che quei pochi istanti di vita fossero sufficienti per meritare il paradiso. Perché ora sono in paradiso, lo sai vero?».
Ora, nel tardo pomeriggio dei miei ventisette anni posso dire l’esistenza o meno di una qualche divinità non fa assolutamente nessuna differenza. Non credo, non per me almeno.
La Natura sbaglia e quando lo fa non chiede scusa. Succede, può succedere. Toccando ferro, non dovrebbe accadere niente al cuore di te che stai leggendo, non senza un certo preavviso da parte del tuo corpo. Ma per quanto infinitesimale possa essere questa probabilità, sappi che c’é. Fai che non sia un limite, ma un motivo per alzarti dal letto ogni mattina e fare qualcosa. Finché si può.
Perché forse puoi dire a te stesso che la morte può coglierti in qualsiasi momento, quindi l’unica cosa che puoi veramente fare al riguardo é cercare di vivere al meglio il tempo che ti rimane (non credo ci sia nessuno che il tempo ce lo conceda), sperando che la Morte venga a trovarti mentre stai dormendo e che possa essere il più indolore possibile. Perché la vita, oltre ad essere una meravigliosa avventura, è un sogno, un sognare magnifico per noi che ancora possiamo farlo.
Crogiolati di tutte le possibilità che la vita ti offre.
“La Natura sbaglia e quando lo fa non chiede scusa.”
grandissima realtà… triste purtroppo, ma vera…
Profondo e sensibile..