Corna, guance incavate e quell’abito lungo e nero. L’inconfondibile ombra sinistra e longilinea che si staglia contro le freddi pareti del castello di Re Stefano. «Che imbarazzante situazione», la scena del battesimo della piccola Aurora. Ecco Malefica, Maleficent. Tutto inizia da qui: questo è il punto in comune delle due versioni della storia. Due campane, due versioni di una storia: un meccanismo molto simile a quello che avviene in molte storie delle Mille e una notte. Dopotutto non succede sempre così, anche nel mondo vero?
Una storia scritta da chi detiene il potere, che legittima rabbia e rancore, avidità e ambizioni smodate. Come già sappiamo, Maleficent non è un remake propriamente inteso. Abbiamo visto e sentito la versione di re Stefano, quella narrata nel classico Disney del 1959, La bella addormentata nel bosco; ora sentiremo la voce di Malefica, quanto basta per capire se il diavolo è davvero così brutto come lo si dipinge. Noi – il pubblico – siamo la giuria. A ricordarcelo ci pensa la voce narrante: a noi il compito di giudicare riguardo la faida tra il Regno degli uomini e la Brughiera.
Ma si può davvero giudicare? Oppure è davvero tutto relativo? Come in quella storiella: un uomo deve procurarsi una medicina per il figlio molto malato; perde il lavoro e purtroppo non è nelle condizioni di farsi aiutare da nessuno. La medicina è troppo costosa, così fa l’unica cosa che rimane da fare: ruba la medicina. Giusto o sbagliato? Ognuno di noi ha la sia risposta.
L’unico fatto certo, comune a tutte e due le versioni, è quel maleficio scagliato il giorno del battesimo di Aurora.
Prima e dopo, tutto cambia.
Gli elementi della fiaba si intrecciano, rimescolandosi: la foresta di rovi, il corvo, il principe Filippo, le tre fatine, il drago. E l’intenso sguardo di Angelina Jolie: una Malefica perfetta in ogni espressione.
Che il film piaccia – o per meglio dire convinca – oppure no, la fotografia non può non affascinare: il bosco incanta, le evoluzioni tra i personaggi principali sono convincenti, soprattutto quando si tratta di indagare il complesso rapporto tra Aurora e Malefica. Qualche sbavatura, ovviamente, c’è: la trama in alcuni punti vacilla leggermente. Ma dopotutto, c’era da aspettarselo: il film è fatto per sfruttare a tutto tondo le caratteristiche della Jolie. Profondità emotiva e corpo sinuoso, sguardo altero e fiero, sfigurato quando serve dalla furia e dal lamento. Una Malefica capace soltanto di provare e suscitare grandissime emozioni, un’interpretazione che da sola vale una pellicola che, privata della protagonista, faticherebbe a decollare. Nonostante qualche dialogo scontato (la storia la sappiamo già, dopotutto), in alcuni punti il film riesce anche a strappare un sincero sorriso con qualche battuta ricercata.
Una parola va spesa anche alla fotografia: sebbene qualche inquadratura francamente scontata, messa soltanto per giustificare le scene in 3D, l’ambientazione silvana lascia senza fiato. La Brughiera è in grado di incantare con un paesaggio fantasy curato nei minimi particolari, mentre il Castello del Regno degli uomini è claustrofobico e opprimente: viene da chiedersi quale sia la vera foresta di rovi.
Esci dal cinema e cosa pensi? Beh, il nome non basta a fare un cattivo
e che i tuoi genitori potevano anche sceglierti un nome decente, suvvia.
Un po’ di amaro c’è, inutile negarlo. Poco, ma c’è.
Nonostante la creatività possa portare ovunque, siamo davvero costretti a ripescare storie vecchie e già note? Per quanto la figura di Malefica sia indubbiamente affascinante, è davvero questo quello che vuole il pubblico? Soltanto reboot, remake e variatio in imitando varie?