«Ma cos’è la morte?»
Gabriel e Vanessa si scrutarono della penombra, mentre due bicchieri colmi di vino rosso preannunciavano una seria discussione. Intorno a loro il vociare e le risate del bar erano i loro compagni della notte.
«Prima e ultima paura dell’uomo, lo scopo finale dell’esistenza. Si nasce per morire», sentenziò la ragazza. Lui sollevò lo sguardo. «Fatichi a capirlo? Comprensibile. Se accettassi questa verità la vita potrebbe apparire priva di senso. Eppure secondo me il senso sta proprio nell’ultimo respiro. La morte è come la vita: non è equa. E non è neppure vero che chi se ne va è solo. C’è chi, avendo vissuto una vita piena e soddisfacente, può vantare di avere tante persone intorno a sé e chi invece quando arriva il suo momento è davvero solo. Senza contare le profonde differenze tra fosse comuni e sfarzose tombe di famiglia. No, non siamo uguali nemmeno nel momento del trapasso, è una frottola bella e buona. Io non credo che sia la cosa che ci accomuna tutti».
Vanessa fece una pausa sorseggiando il suo vino. Gabriel l’ascoltava, mentre lei faceva prendere forma ai suoi pensieri. Intanto giocherellava con il suo calice, facendo vorticare delicatamente il liquido rubino. Non voleva interromperla, l’avrebbe lasciata sbollire la sua rabbia.
«Mi sono accorta di un’altra cosa», continuò la ragazza. «La morte è ingiusta. Sempre. Non colpisce mai soltanto chi ha avuto una vita lunga. Colpisce anche ragazzi e uomini di mezza età. Tutti, nessuno si può salvare. Senza possibilità di appello. Colpisce e basta, in maniera molto sleale, per giunta. Ma in un mondo in cui la vita è profondamente bastarda, come possiamo credere che dopo le cose possano cambiare? Vita e morte si completano costantemente, scivolando l’una nell’altra. Non vedo giustizia, solo casualità. Terribile ed inappellabile casualità. Potrebbe scoppiarmi l’aorta anche adesso, per quello che mi è dato sapere».
«Questo come ti fa sentire?» chiese Gabriel. Non capiva dove stava dirigendo la sua anima tempestosa.
«Non lo so. Dovrebbe essere confortante secondo te? Boh, penso che sia qualcosa da accettare. È così e non ci puoi fare niente. Però da un certo punto di vista penso che sia meglio così».
«E chi trova conforto nella speranza di una nuova vita?»
Vanessa storse il naso.«Ormai non credo più nel conforto della religione. Ho perso fiducia proprio quando mio padre se n’è andato. Tutte le risposte che i santoni ti danno sono sempre le stesse. La salvezza è lassù, Dio chiama a sé i suoi figli. Non riesco a trovare serenità in tutto ciò. Ti dicono di gioire perché il tuo caro adesso si trova alla destra del padre. Vedo solo risposte facili. Mentre per chi resta non è mai facile».
«Nemmeno io sono troppo convinto dell’esistenza dell’aldilà. Però prima o poi tutti devono andarsene», mentre pronunciava quelle parole, Gabriel si sentì scontato. Avrebbe voluto mettere in tavola qualcosa da argomentare meglio, ma allo stesso tempo voleva sentire il suo parere.
«Prendiamo ad esempio una famiglia allargata composta da cinque fratelli. Hanno vissuto una vita felice, si sono sposati e hanno avuto figli. Intanto gli anni passano. E per i cinque fratelli e le loro mogli arriva il momento di congedarsi da questa vita. Attese interminabili in ospedale, aspettando i medici che inevitabilmente finiranno per scuotere la testa, dispiaciuti. Uno dopo l’altro se ne vanno tutti. E ormai la dolce vita degli anni in fiore è appassita, i momenti conviviali non sono più quelli della domenica. Ormai i momenti di incontro saranno soltanto quelli, in cui a farla da padrone sarà la paura mentre ci si chiede chi sarà il prossimo. La felicità lascerà posto all’ansia e alla paura. Tutte le potenzialità della giovinezza convergono in questo punto, un vicolo cieco. E non rimane altro che deporre le armi, sconsolati».
Il cuore di Gabriel tremò. «Vane, tutto questo è molto triste. Quando si è giovani si fatica a vedere la fine del cammino, ma immagino che da vecchi sia davvero così. O magari no. Non lo so, io penso che guardandosi indietro, si può perfino riuscire anche essere orgogliosi di ciò che si è riusciti a fare nella propria vita. Mentre si percorre una strada è difficile capire dove si sta andando, ma una volta arrivati forse tutto appare più chiaro».
Il tono di voce di Vanessa si fece più distaccato, mentre portava il calice alla bocca: «Si arriva alla fine, indipendentemente da te e dai tuoi progetti. Non gliene frega a nessuno di sapere a che punto sei arrivato».
«Certamente», annuì il giovane scrittore cercando l’ispirazione in una sorsata di vino. «Quindi, nulla ha senso?» chiese la ragazza. «Come hai detto tu, forse non esiste un significato. Ma non vuol per forza dire che non si può scoprire qualcosa di interessante lungo la strada». «Ma come posso sapere se la mia vita è interessante? Come posso capire se la mia vita è degna di essere vissuta?». «Io credo dipenda tutto da te», disse Gabriel con un sorriso, «Il bello devi creartelo tu». Vanessa lo guardò dritto negli occhi. L’attimo che cercava si stava finalmente avvicinando: «Se sei davvero convinto di tutte queste cose, allora perché non sei felice? Fai tutto ciò che ti piace fare, eppure ti struggi ogni giorno. Sei sempre così malinconico».
Gabriel non rispose e si limitò a svuotare il suo bicchiere. Ma Vanessa non era intenzionata a dargliela vinta, non questa volta: «Avanti Gabe rispondi e stavolta niente frasi fatte, niente perifrasi, niente massime di saggezza: perché sei sempre così insoddisfatto?». Ma lui taceva fissando in basso. Vanessa non avrebbe mollato: «Per una volta getta la tua maschera. Dimmi chi sei. Non c’é nulla da temere, qua si siamo solo tu ed io».
Il giovane si irrigidì davanti agli occhi di lei. «Ti prego, vedo che tutto questo caos ti uccide. Voglio solo sapere dov’è il punto che più ti duole. Dove ti sei perso?»
Continua, probabilmente, da qualche parte…
Questo racconto lo sento vicinissimo.
E non c’è bisogno che continui da nessuna parte, secondo me.
Mi piace molto.
Magari… nel mio libro? 😀
Dafuq!! O.O!!